FIOSIOTERAPISTA IN OSPEDALE COVID 19
Quando mi è stato chiesto di far parte di un gruppo di quattro fisioterapisti volontari per l’ospedale covid di Trecenta mi è sembrata da subito una bella opportunità per aiutare persone che vivono una grave malattia nella solitudine, ma anche, condividere con gli altri sanitari una difficile esperienza professionale e umana cercando di portare un po’ di luce in un ambiente nel quale è difficile starci.
Una nuova avventura: un’attività tutta da inventare
Arrivano i giorni di preparazione con corsi, compilazione di protocolli di trattamento e studio. Qui è iniziata la paura. Paura del contagio, paura di non farcela, paura per i cambiamenti delle abitudini alimentari, paura di ciò che ancora non conoscevo. Leggo la Parola di Vita di Aprile: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto”. Devo credere e fidarmi. Credere senza vedere. Credere all’Amore e tuffarmi nel buio. Così piano piano passo dalla paura al suo contrario: l’amore.
Si parte
Arriva il momento d’iniziare e con i miei colleghi entriamo in tutti i reparti covid dalla terapia intensiva fino ai reparti con pazienti in via di miglioramento e dimissione. Subito ci accorgiamo che la difficoltà più grossa è respirare con i dispositivi di sicurezza molto ingombranti. L’ossigeno scarseggia e tutti gli operatori si muovono lentamente in modalità di risparmio energetico. Impossibile resistere tante ore lavorando con i ritmi soliti di un reparto ospedaliero. Per riconoscerci dobbiamo scrivere il nostro nome sulla vestizione che qualcuno abbellisce con qualche disegno simpatico.
Il contatto con i pazienti
Entro a contatto con i pazienti e inizio il trattamento riabilitativo nelle stanze di degenza ben chiuse. Adesso mi rendo ancor più conto della sofferenza fisica ma anche psicologica dovuta all’isolamento totale dall’esterno. Non entra niente e nessuno. Ci sono dei pazienti anziani che non riescono ad usare bene neanche il cellulare. Ecco la gioia che si scatena quando un parente chiama il medico e questo entra in stanza col tablet per far incontrare tramite video il suo famigliare. Momenti commoventi che coinvolgono anche il personale sanitario. I rapporti con i sanitari sono più facili, siamo complici di una situazione di emergenza. Ci si aiuta nel momenti in cui vedi il collega in crisi d’ossigeno che si deve sedere e riposare. Ci si sostiene con frasi d’incoraggiamento: c’è complicità.
Rapporti umani veri
I pazienti hanno voglia di parlare pur nella fatica e mi raccontano del loro strazio in una situazione fuori dal tempo e surreale. Mi parlano della famiglia, dei ricordi che spesso si appassiscono, della loro vita ricca di avventure e di drammi, di scelte positive e di valori. Alcuni dopo settimane di ospedalizzazione perdono lucidità e hanno bisogno di aiuto anche dai loro compagni di stanza che diventano miei complici. Qualcuno mi vede stanco e ansimante in certi momenti e generosamente mi invita a sedermi preoccupato più per me che per lui.
Una signora mi racconta di avere una brava figlia che fa ottanta chilometri in macchina per restare nel parcheggio dell’ospedale e guardare la finestra della stanza dove è ricoverata la madre. Resta lì un quarto d’ora, telefona e dice: ”Mamma sono qui sotto nel parcheggio. Sono vicina”. Ma non è possibile incontrarsi.
Stamattina una signora vicino ad una mia paziente mi racconta la sua vita. Tanti lutti e tante malattie. Penso che questo è troppo da sopportare. Poi la mia interlocutrice si chiede cosa mai abbia fatto di male per meritare tante avversità nella vita. A quel punto l’ho guardata e ho cercato di farle sentire l’amore di Dio che non la vuole punire. Dialoghiamo. A un certo punto lei mi parla di Gesù che anche Lui in croce ha dubitato. “Se persino Lui ha dubitato io povera umana cosa posso fare?”. Le ho parlato di Gesù Abbandonato. Quando sono uscito dalla stanza si respirava aria di sacro anche senza ossigeno.
Sostegno a 360 gradi
Tante volte i progressi non sono rapidi come i malati vorrebbero e sono da sostenere. Io come fisioterapista resto molto più tempo di qualsiasi altra figura sanitaria a contatto col singolo paziente e ogni giorno mi aspettano con tutti i loro compagni di stanza. In questi rapporti vedo la resurrezione di Gesù con i sensi dell’anima senza vedere con i sensi del corpo. Umanamente vedo tanta sofferenza e non solo fra i malati, ma amando questo dolore tutto trasforma. Tutto prende senso e il fatto di essere lì volontariamente mi fa vedere il mio lavoro anche nella dimensione della gratuità e la fatica fisica è condividere un po’ quella più grave dei miei pazienti.