SALUTE SENZA CONFINI
Esperienza della comunità di Mestre nel condividere la funzionalità dell’ambulatorio di prossimità
Nella comunità di Mestre sta nascendo una collaborazione con l’ambulatorio di prossimità della Caritas. Prima di Natale, come consuetudine, un gruppetto di noi è andato a portare gli auguri al Patriarca. In quell’occasione ci ha confidato una sua preoccupazione per questo ambulatorio che fa fatica ad andare avanti per carenza di personale. Tornando a casa , ci ritornava in mente questa confidenza e ci siamo chiesti se avremmo potuto fare qualche cosa.
Così per prima cosa siamo andati a conoscere personalmente la situazione alla Caritas . Abbiamo conosciuto il responsabile che ci ha mostrato i locali e ci ha spiegato il funzionamento degli ambulatori. Ci ha parlato della necessità di disporre di più infermieri e medici, ma anche di traduttori e di accompagnatori per chi accede come primo centro di accoglienza: profughi, rifugiati, senzatetto, persone senza documenti che non possono avere l’accesso ad altre strutture sanitarie.
Ci ha chiesto come eravamo venuti a conoscenza di questo progetto e gli abbiamo detto il Patriarca che ci ha comunicato le sue preoccupazioni per le difficoltà di cui era a conoscenza. Ha esclamato:” allora il Patriarca ha a cuore questo ambulatorio! Ci vuole bene!”
Tornati a casa, dopo un momento di condivisione tra noi, abbiamo deciso di impegnarci come comunità ad aiutare questo progetto della Caritas. Così la settimana successiva mi hanno chiamata, (io sono medico ginecologa), perché c’erano cinque donne da visitare. Arrivata mi sono accorta che l’ambulatorio non era in condizioni ottimali, con apparecchiature obsolete. Non sono mancate altre difficoltà: un andirivieni nell’ambulatorio che provocava poca privacy, un traduttore uomo … ma sentivo di essere lì solo per voler bene a quelle donne africane, tre delle quali in stato di gravidanza.
Sono rimasta colpita dal fatto che tutte tenevano lo sguardo abbassato, non mi guardavano negli occhi quasi avessero vergogna o paura. Ho pensato così di coinvolgerle con qualche sorriso o gesti di gentilezza, mostrando alle ragazze in gravidanza il profilo del bambino sullo schermo dell’ecografo o chiedendo di indovinare il sesso del piccolo che mettevo in evidenza… e suscitando in loro sorrisi e lacrime di commozione.
Quell’ambulatorio non è solo uno centro medico dove visitare persone che hanno bisogno, ma anche il luogo dove si accoglie l’altro con umanità, delicatezza e amore.
Sono tornata anche la settimana successiva e questa volta con me c’era anche un’infermiera della comunità. Con lei è stato tutto più semplice, nonostante le varie difficoltà, perché abbiamo potuto tenere Gesù in mezzo. Sento che questa esperienza è importante se la portiamo avanti insieme come comunità per la testimonianza che si può donare.
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