ESPERIENZA E RIFLESSIONI SUL CORONAVIRUS
Quando a metà marzo sento parlare di Coronavirus, mi sembra una realtà molto lontana. Scherzando affermo:”a me basta la corona del rosario“. Ma, domenica 29 marzo mi sale la febbre che, nonostante la Tachipirina non vuol scendere. Dopo 9 giorni il medico di base chiama il 118 e, il 2 aprile alle 2 di notte mi trovo in ospedale a Treviso perché positivo al Coronavirus.
Una settimana santa diversa
E’ l’inizio della Settimana santa e, come tanti cristiani senza Eucarestia, lontano dalle celebrazioni, cerco di vivere il comandamento di Gesù: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 15,12). In verità non ho paura, anche perché non sto tanto male. Sono più preoccupato per il peso che la Comunità cui appartengo deve sobbarcarsi. Nei 5 giorni di ospedale, attraverso messaggi, telefonate e gesti concreti di tanti ho toccato con mano l’amore di Dio.
Un signore ricoverato nella mia stanza si è accorto che camminavo scalzo e mi ha regalato un paio di ciabatte nuove. Un infermiere dell’ospedale, alloggiato all’Astori, mi ha portato la biancheria necessaria. Una focolarina che lavora in ospedale mi ha portato il necessario per scrivere, un libro e dei cioccolatini. Mi hanno chiamato anche tanti giovani che non sentivo da tempo. Davvero il dolore unisce e crea la famiglia.
Alla vigilia di Pasqua vengo dimesso e per la quarantena sono stato accolto con amore e disponibilità dai confratelli delle 3 comunità salesiane di Mestre, che non mi hanno fatto mancare niente.
VITA IN ISOLAMENTO
La vita di quarantena è molto regolare: tanta preghiera personale e in comune, lettura, riposo. Il rischio è quello di chiudermi in me stesso, di pensare ai miei disturbi di salute. Mi sforzo di aprirmi mandando messaggi, telefonando, pregando per gli altri, ringraziando i confratelli di quanto fanno per me….. Ogni tanto mi sento come Gesù: arrestato e recluso, ma mai come in questo periodo mi sono sentito tanto libero interiormente.
Nei giorni di Pasqua, rileggendo le apparizioni di Gesù Risorto alle donne e ai discepoli, scopro che la frase: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto” è molto attuale, perché in questa pandemia solo la fede e l’amore ci fanno vedere e trovare il lato positivo delle situazioni.
Prima della pandemia ero troppo concentrato sull’attività, sul fare. In questo mese di degenza ho il tempo per ritrovare me stesso, per vivere più dentro. Così il Coronavirus non è un castigo, ma l’occasione di conversione del cuore, di ritorno a Dio e ai fratelli, di una maggior unione con Lui. Con San Paolo posso dire: “Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28).
Il Coronavirus ci ha insegnato che siamo interconnessi, vulnerabili, ma che dobbiamo prenderci cura gli uni degli altri. Guardando al crocifisso, ha detto il Papa, capiamo che lì c’è tutto l’amore di Dio per noi, e allora continuiamo a credere al suo amore concretamente, come ci ha insegnato Gesù.
E.D.L.