Lavoro. Bruni (economista): “In Italia non è troppo in salute, c’è un crescente malessere”
“Bisogna guardare dentro i dati macro, diversamente ci dimentichiamo del benessere dei lavoratori che è molto più importante dei numeri”, ammonisce il docente: “L’impressione che abbiamo è che lo stress dei lavoratori, la loro insoddisfazione e, soprattutto, la mancanza di senso del lavoro sono malesseri e povertà nuovi che si associano ad uso di farmaci, ansie, fragilità…”. E se oggi “le imprese rispondono alle rendite e ai dividendi”, è necessario “parlare di più di economia, di finanza perché sono realtà troppo importanti per lasciarle soltanto agli economisti e ai finanzieri. Dobbiamo tutti riappropriarci di pezzi di vita che sono fondamentali per il bene comune”
Fonte: AgenSir – Alberto Baviera – 13 dicembre 2024
In Italia l’occupazione è in crescita ma il lavoro è sempre più povero e non di rado genera malessere. E poi le cronache settimanalmente riportano le tragiche notizie di morti bianche e di crisi aziendali che non sempre riescono a risolversi positivamente. Della situazione che sta vivendo il nostro Paese abbiamo parlato con Luigino Bruni, economista e storico del pensiero economico, docente alla Lumsa, direttore scientifico di “The Economy of Francesco” e presidente della Scuola di Economia civile.
Professore, partiamo dai dati. Secondo la Cgia di Mestre negli ultimi due anni l’occupazione in Italia è cresciuta complessivamente di 847mila unità (+3,6 per cento). Di questi nuovi posti di lavoro, 672mila sono lavoratori dipendenti e 175mila autonomi. Numeri in linea con quelli diffusi recentemente dall’Istat che ha rilevato come ad ottobre 2024 il numero di occupati si sia attestato a 24 milioni 92mila, con disoccupazione in calo. È davvero così in forma il mondo del lavoro italiano?
Il fatto che questi che questi dati siano usciti nei giorni in cui c’è stata la strage a Calenzano, dove sono morti 5 lavoratori e decine sono feriti, ci dice che
forse tutta questa salute non c’è nel mondo del lavoro.
Anche perché non bastano i numeri dell’occupazione in termini assoluti. Certo, qualche buona notizia c’è ma ce ne sono anche di meno buone. Ad esempio, l’aumento delle partite IVA, che in buona parte rappresenta il nuovo precariato, o l’aumento dei lavori a tempo determinato, la riduzione delle ore lavorate… Aumentano in assoluto i lavoratori ma non è detto che aumenti il benessere dei lavoratori perché, come sappiamo da sempre, non basta lavorare per non essere poveri, non tutti i lavori sono degni, non tutti i lavori sono buoni. Per questo dobbiamo sempre guardare dentro i numeri e non fermarci alle prime sintesi.
Qual è la realtà, dal vostro osservatorio?
La nostra impressione, quella di chi osserva un po’ il mondo economico italiano, è che l’Italia non stia benissimo. E non è un problema legato a questo o a quel governo, perché può far poco alla fine rispetto alle grandi tendenze del nostro tempo.
C’è un crescente malessere dei lavoratori con un aumento delle dimissioni volontarie di persone che si dimettono senza trovare un lavoro alternativo. Gli esaurimenti – oggi si parla ‘burnout’ –, i crolli psicologici, il fatto che le persone facciano sempre più fatica a lavorare non sono dati secondari.
Bisogna tenerne conto, altrimenti cadiamo nell’errore che si fa con il Pil che, in realtà, dice sempre di meno sul benessere di un Paese. Per cui bisogna vedere dentro i dati macro, diversamente ci dimentichiamo del malessere o del benessere dei lavoratori che sono molto più importanti dei numeri. L’impressione che abbiamo – come Scuola di economia civile o con The Economy of Francesco – è che lo stress dei lavoratori, la loro insoddisfazione e, soprattutto, la mancanza di senso del lavoro (perché si lavora?) sono malesseri e povertà nuovi che si associano ad uso di farmaci, ansie, fragilità… Tutto questo – che non emerge facilmente dai dati aggregati – dice molto di più sulla realtà del nostro Paese.
Una situazione che nitidamente ha fotografato l’arcivescovo di Milano, mons. Delpini, che per Sant’Ambrogio, ha parlato di gente che “lavora con passione e serietà, impegna le sue forze, le sue risorse intellettuali, le sue competenze. Lavora bene ed è fiera del lavoro ben fatto” ma “è stanca di un lavoro che non basta per vivere, di un lavoro che impone orari e spostamenti esasperanti. La gente è stanca degli incidenti sul lavoro. La gente è stanca di constatare che i giovani non trovano lavoro e le pretese del lavoro sono frustranti”…
Sono d’accordo con lui. continua a leggere