Suicidio assistito? “Serve piuttosto una medicina umanizzata”. Parla il palliativista Massimo Damini

“Le richieste di suicidio assistito esistono, ma sono numericamente esigue, e nella mia esperienza l’offerta di cure palliative efficaci ha sempre funzionato: nessun paziente le ha rifiutate rimanendo fermo nel suo proposito”. La testimonianza del medico palliativista da 30 anni sul campo, che ai quattro requisiti stabiliti dalla Corte costituzionale ne aggiungerebbe un quinto: l’accesso alle cure palliative. “Non siamo macchine da guerra che tormentano i pazienti”, ma “non possiamo abdicare al nostro ruolo di curanti”, dice sottolineando invece “il dovere di riaffermare una medicina umanizzata”. E assicura: “Per un medico è più difficile stare nella malattia e nella sofferenza, piuttosto che risolvere drasticamente il problema”

Da AgenSir – Giovanna Pasqualin Traversa

Irreversibilità della patologia, presenza di sofferenze fisiche o psicologiche che il paziente reputa intollerabili, dipendenza da trattamenti di sostegno vitale, capacità del paziente di prendere decisioni libere e consapevoli. Nella sentenza n.135, depositata lo scorso 18 luglio, la Corte costituzionale ribadisce i quattro requisiti per l’accesso al suicidio assistito, già stabiliti dalla stessa Corte nella sentenza n.242/2019, ampliando però l’interpretazione del concetto di “trattamento di sostegno vitale” e rilanciando “lo stringente appello, già formulato in precedenti occasioni, affinché sia garantita a tutti i pazienti una effettiva possibilità di accesso alle cure palliative appropriate per controllare la loro sofferenza”. Abbiamo incontrato il medico palliativista Massimo Damini, responsabile dell’Hospice della Casa di cura San Camillo di Cremona, gestito dai Camilliani, e direttore sanitario del Centro cure palliative-Hospice delle Piccole figlie di Parma.

Dottor Damini, da 30 anni lei è a quotidiano contatto con situazioni di estrema sofferenza e terminalità. Nel dibattito sul fine vita il punto forse più controverso rimane sempre quello della definizione dei trattamenti di sostegno vitale.
E’ una questione davvero controversa, sia dal punto di vista clinico sia dal punto di vista bioetico. Tuttavia la definizione non può essere scollegata dal discorso “temporale”, ossia di quanto tempo di vita rimanga.

Lei si è mai trovato di fronte a richieste di aiuto a morire?
Sì; capita talvolta che i pazienti mi dicano: “Dottore, faccia qualcosa per finire alla svelta questa situazione”, oppure: “mi faccia una punturina”.

È inutile negarlo, queste richieste esistono, ma sono numericamente esigue. continua a leggere