Libano. Abboud (Caritas): “Crisi economica mai vista prima, ogni due giorni un suicidio”
Nei servizi di Caritas Libano ora arrivano i nuovi poveri, i lavoratori libanesi, che a causa di una inflazione al 138% sono costretti a fare i conti con prezzi dei beni alimentari saliti fino al 500% e la caduta del potere di acquisto dei salari del 90%. Ogni due giorni c’è un caso di suicidio perché la gente non arriva a fine mese, mentre le tensioni tra rifugiati siriani e libanesi sono alle stelle. Parla padre Michel Abboud, presidente di Caritas Libano, tra i relatori al 42° Convegno nazionale delle Caritas diocesane in corso a Rho (Milano).
Fonte: AgenSir 22 Giugno 2022 Patrizia Caiffa
In Libano la situazione economica, con gli inevitabili riflessi sociali, è più critica che mai. Alle mense e ai servizi sociali e sanitari di Caritas Libano ora arrivano i nuovi poveri, i lavoratori libanesi, che a causa di una inflazione al 138% sono costretti a fare i conti con prezzi dei beni alimentari saliti fino al 500% e la caduta del potere di acquisto dei salari del 90%. Ogni due giorni c’è un caso di suicidio. In più, in un Paese di 4 milioni di abitanti con 1 milione e mezzo di rifugiati in maggioranza siriani, le tensioni tra impoveriti sono alle stelle. “Abbiamo tanti nuovi poveri e nuovi bisogni. Stiamo aiutando il popolo a vivere”, racconta al Sir padre Michel Abboud, presidente di Caritas Libano, tra i relatori al 42° Convegno nazionale delle Caritas diocesane in corso dal 20 al 23 giugno a Rho (Milano).
Tanti nuovi poveri e nuovi bisogni. “Stiamo vivendo una crisi economica mai vista prima – prosegue -. Uno stipendio di 1000 dollari ora vale come 100 dollari. Le persone non possono andare in ospedale perché non hanno i soldi per pagare le cure, allora tutti vengono alla Caritas, anche se i nuovi poveri non sono abituati a chiedere. Prima con la pandemia non potevamo muoverci ma ora che stiamo tornando nelle case vediamo tante persone che si rifiutano di andare in ospedale e chiedono di morire a casa loro.
Non è mai successo di vedere insegnanti che la mattina cercano il cibo nella spazzatura”.
C’è però una parte della società libanese ancora benestante: sono quelli che non hanno voluto ricostruire le case devastate dall’esplosione al porto di Beirut il 4 agosto 2020 e hanno deciso invece di fuggire all’estero.
In un anno 200.000 libanesi hanno lasciato il Paese per cercare lavoro altrove.
I meno abbienti partono anche affidandosi ai trafficanti e percorrendo le rotte mediterranee del mare.