Da quattro anni lavoro come medico Palliativista domiciliare.
Una fede cristiana vissuta fino in fondo fa vivere una profonda esperienza di umanità
Dopo quasi vent’anni di professione come oncologa ospedaliera, da quattro anni lavoro come medico Palliativista domiciliare.
Ho scelto profondamente e consapevolmente di dedicarmi alla assistenza dei malati nella fase finale della loro vita. Ho scelto o, come credo, “Dio mi ha scelto” e nel Suo strano e misterioso disegno mi ha chiesto di “essere Palliativista”.
I miei genitori sono partiti per il Cielo, quasi sedici anni fa, in un terribile incidente, senza che io potessi salutarli, abbracciarli, essere loro accanto. Ma “Il Signore toglie, Il Signore dà. (Gb 1,21)e in questi anni Dio mi ha permesso di aiutare figli, mogli, mariti, fratelli a rimanere accanto alle persone che amano fino alla fine, in ogni istante.
Come Palliativista ogni giorno credo, lotto e lavoro per difendere la vita in ogni suo momento, non per accelerare la morte né per ritardarla con inutili accanimenti, ma per alleviare la sofferenza di ogni fratello e sorella che incontro, per permettergli di vivere ogni istante nel modo più sereno possibile, per arrivare al momento dell’ultimo respiro con il corpo e il cuore nella pace.
Ho seguito quasi 700 persone dal marzo 2020 ad oggi,
sono entrata in quasi 700 case, ho incontrato 700 storie diverse, alcune meravigliose, alcune difficili, alcune di grande Fede, altre di grande miseria, alcune di perdono, altre di rabbia e peccato.
Mi sono sentita il Cireneo che allevia un po’ la fatica, che porta la croce per un pezzetto di strada ma che con un grande senso di impotenza sa di doverla cedere perché all’incontro con la morte ognuno di noi arriverà con il suo carico.
Mi sono sentita il centurione che fissa un crocefisso, agli occhi del mondo un traditore e un malvivente, e guardandolo morire nel cuore sente commosso che “davvero” anche “costui è Figlio di Dio”.
Mi sono sentita un po’ Giovanni che accoglie il dolore di una madre: “Per favore dica lei ai miei ragazzi che me ne sto andando e che li amo con tutto il cuore”…
Mi sento e mi sono sentita piccola, spesso indegna di essere accanto a chi affronta la morte con dignità, con coraggio, in silenzio. Spesso chiedo a Dio “perché io? Perché questo privilegio?” privilegio di essere nella vita fino in fondo, di vedere la parte più vera di altri fratelli e sorelle che fino a qualche giorno prima non conoscevo.
Ringrazio ogni giorno Dio di poter fare questo lavoro
e ringrazio Chiara per avermi fatto conoscere e amare Gesù Abbandonato. Solo cercando di essere vuota, di essere nulla…riesco e provo a stare, come Gesù Abbandonato. Solo nell’amore a Lui che si è fatto ultimo tra gli ultimi perché non fossimo soli nemmeno nell’istante della morte, trovo il coraggio di ripartire ogni giorno, di suonare quel campanello, di entrare in quella casa.
Se mai mi verrà chiesto nella mia professione di praticare il suicidio assistito,
come medico e come cristiana sceglierò l’obiezione di coscienza. Molti palliativisti, credenti e non, hanno già affermato che il suicidio assistito non è un obiettivo delle cure palliative, ma allo stesso tempo, la maggior parte pensano che sia indispensabile che lo Stato si pronunci con una legge chiara, che regolamenti tutti i passaggi.
Per definizione, le Cure Palliative sono contrarie sia all’abbreviazione che all’allungamento della fase terminale
ma vi sono persone gravemente malate o con gravissime disabilità che, pur trattate con le migliori Cure Palliative, richiedono di abbreviare la loro vita residua. Purtroppo la pratica del suicidio assistito arriverà a diffondersi anche in Italia, ma se non viene adeguatamente regolamentata, il rischio che corriamo è che ogni regione, o peggio ogni clinica (soprattutto nel privato) decida e faccia in maniera autonoma. Rischiamo che l’ “accedere alla morte” diventi una pratica economicamente “redditizia”. Questo porterebbe davvero a rendere nullo tutto il grande lavoro che i palliativisti fanno per proteggere la vita e alleviare ogni forma di sofferenza. Credo che serva una grandissima apertura al dialogo e al confronto sul piano etico, morale e sociologico, tenendo salda la nostra volontà di preservare la vita, ma pretendendo che, chi si porrà di fronte a questa scelta, prima che gli venga praticata, abbia modo di incontrare persone che lo accolgono, che lo confortano, che lo supportano e che, fino a dove possibile, operino per alleviargli ogni sofferenza, così che possa, anche all’ultimo secondo, sentire che la sua vita è preziosa.
F.M.